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Nato nel 1935 a Gerusalemme, Edward Said trascorse gran parte della propria infanzia tra II Cairo, dove frequentò la stessa scuola di Omar Sharif e re Hussein di Giordania, la Palestina, terra d'origine dei genitori, e il Libano, le cui montagne facevano da cornice alle vacanze estive con zii e cugini. È un mondo indimenticabile e per sempre perduto che rivive in questo racconto capace di riportare in vita luoghi e persone da tempo scomparsi: sullo sfondo, e intrecciati alla sua vicenda personale, ci sono i grandi rivolgimenti che hanno attraversato il Medio Oriente: dalla fondazione dello Stato di Israele alla lotta per i diritti del popolo palestinese. Lungo le pagine di questa autobiografia, dominata dalla figura "vittoriana" del padre e da quella dell'amatissima madre, Edward Said delinea il proprio ritratto - quello di un outsider: arabo, sì, ma cristiano; palestinese ma in possesso di un passaporto americano che, accanto a un nome britannico, riporta un cognome tipicamente arabo. La sua è la condizione dello straniero per antonomasia, l'esiliato che non riesce a sentirsi fino in fondo a casa in nessun luogo. Una posizione scomoda e dolorosa, ma che per Said diventa condizione privilegiata per svolgere fino in fondo, con onestà e rigore, quel costante sforzo di comprensione che è il compito più alto di un intellettuale.