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Non c'è instabilità senza cause e se, attualmente, il Sahel è raffigurato dall'Europa come territorio di insicurezza e terrore, le origini di tale rappresentazione vanno cercate nella Storia o, per meglio dire, nelle diverse storie che compongono l'incontro/scontro fra Occidente, Africa e Islam, a partire dall'occupazione coloniale del Sahel. Resistenze, intrighi, cospirazioni e rivolte hanno reso questo spazio l'oggetto di romantiche suggestioni e più pragmatiche narrazioni politiche volte a creare un rapporto di dominazione, fondato sulla differenza – irrimediabile e irredimibile – fra un Occidente civilizzatore e un Sahel riottoso, infido e fanatico. Da allora, il mito della “classe pericolosa” del Sahel, fatta di banditi ed esaltati, trafficanti e ribelli, ha viaggiato attraverso la competizione della Guerra fredda e la geopolitica della Guerra al terrore, fornendo il pretesto per interventi di stabilizzazione e repressioni poliziesche. In questo quadro si sono sviluppati i sistemi politici e statali di Niger e Ciad, casi privilegiati di analisi nel volume. Basandosi su fonti d'archivio, testimonianze orali e anni di lavoro sul campo, l'autore getta nuova luce sull'origine dell'instabilità del Sahel a partire dalla dialettica coloniale, raccontandoci come le crisi sociali nelle quali viviamo, in Niger e Ciad come in Europa, siano in parte nate da tale, irrisolto, incontro/scontro.