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L’eccidio di Bari dell’agosto 1910 si inquadra nel clima di repressione – esercitata in quegli anni dai governi giolittiani per mezzo delle forze di polizia –, delle lotte e delle rivendicazioni popolari, legate al rincaro dei fitti nel caso specifico, delle pigioni da corrispondere ai proprietari delle abitazioni, in molti casi, vere e proprie catapecchie, ma anche a quello più generale del costo dei viveri di prima necessità come la farina e il pane. La cronaca degli eventi del tempo evidenzia non solo le condizioni di estrema povertà delle masse proletarie pugliesi e lo sfruttamento agrario e padronale a cui erano sottoposte e la stessa mancanza di lavoro, ma anche e soprattutto, come si rileva proprio nell’eccidio analizzato dal saggio in oggetto, l’uso improprio – o l’abuso – delle armi da parte delle forze poliziesche che non esitano a usare violenza, sparare – e uccidere – su una folla inerme che reclamava soltanto i propri diritti. Una situazione – l’uso improprio della violenza e delle armi da parte di carabinieri e militari – che ci riporta a tempi più recenti e a una riflessione su fatti che non possono essere elusi.