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Jasenovac è un nome che ancora oggi in Italia, a distanza di ottant’anni, non molti conoscono, mentre è tristemente noto ai lettori cresciuti nella ex Repubblica Federativa socialista di Jugoslavia, per i quali era sinonimo dei crimini contro l’umanità perpetrati dall’aggressore nazifascista e dai suoi collaborazionisti, gli ustaša croati. In seguito Jasenovac è diventato il campo di battaglia di una guerra di propaganda, combattuta dagli storici serbi e croati a colpi di stime sul numero delle vittime, che oscillavano spaventosamente tra le centinaia e le centinaia di migliaia di persone barbaramente uccise. Certo era che molti, troppi civili erano stati uccisi. Tuttavia pareva impossibile stabilire quante decine – o centinaia – di migliaia di persone uccise – uomini, donne, bambini – attendessero di essere riconosciute e identificate, nell’ombra, fuori dal cono di luce delle decine di migliaia di nomi documentati dagli archivi di Jasenovac e dell’evidenza testimoniale lasciata dai sopravvissuti ai campi di concentramento e ai massacri degli ustaša.