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In Russia, durante l'epoca zarista il balletto classico era forse il piů chiaro emblema della cultura degli aristocratici. Poi, sull'onda della Rivoluzione di Ottobre esso fině, come tutte le altre arti, sotto l'egida delle autoritŕ sovietiche che cercarono di conformare il balletto imperiale ai loro propositi di rivoluzione culturale e di rieducazione del popolo. Eppure, come dimostra questo saggio di Christina Ezrahi, l'ambizioso sforzo intrapreso dalle autoritŕ si rivelň vano. I Cigni del Cremlino offre un'affascinante panoramica sulla collisione fra politica e arte coreutica durante il primo cinquantennio dell'era sovietica, tema finora pressoché trascurato dalla storiografia di danza. L'autrice dimostra come in quegli anni i dirigenti e gli artisti delle due maggiori compagnie di balletto russe - quella del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo e quella del Teatro Bol'soj di Mosca - compostamente, ma tenacemente, resistettero all'egemonia culturale sovietica. Nonostante i controlli cui erano sottoposti, fecero in modo di preservare le forme originarie e le tradizioni del loro ricco passato artistico, riuscendo anzi a vivificarle. Quei modelli estetici e tecnici infusero una nuova energia propulsiva al balletto russo, che divenne il fiore all'occhiello delle conquiste culturali sovietiche e affascinň le platee occidentali anche durante i difficili anni della Guerra Fredda. Frutto delle ricerche condotte in decine di archivi e sintesi delle numerose interviste realizzate con artisti, dirigenti e altri protagonisti di quell'epoca, il volume di Christina Ezrahi propone ai lettori il primo, illuminante resoconto di ciň che avvenne nel balletto russo in epoca sovietica: ne segue le lotte nel periodo postrivoluzionario, ne documenta il massimo fulgore negli anni '50 e '60, gli "anni d'oro", e infine ne ricostruisce le monumentali produzioni messe in scena per celebrare, nel 1968, il cinquantesimo anniversario della Rivoluzione.