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Questo breve saggio si interroga sulla paradossale coesistenza degli ideali dell’Illuminismo nel Settecento con una pratica della schiavitù che non è mai stata concretamente messa in discussione: la libertà, proclamata con forza in Europa era calpestata nelle colonie, dove l’economia si reggeva sul sistema schiavistico. In questo contesto, quando Hegel elabora la dialettica servo-padrone, mostra una cecità tipica dell’epoca o si tratta, al contrario, di un tentativo di denuncia di questo stato di cose? In una successione di punti, e dopo una breve digressione sul contesto storico e filosofico, Susan Buck-Morss avanza l’ipotesi secondo cui Hegel è riuscito a spostare un discorso filosofico, astratto, verso una opposizione dialettica ispirata e inscritta nella realtà. Secondo l’autrice, Hegel ha davvero portato la filosofia della libertà fuori dalla sfera teorica; ha reso il razionale reale. Se il suo periodo berlinese lo riportò verso un conservatorismo che successivamente ha potuto giustificare molte teorie eurocentriche, e nonostante un razzismo culturale permanente, Hegel sembra non di meno aver avuto un momento di lucidità di cui qui Buck-Morss sottolinea la portata nell’elaborazione di un progetto di libertà universale.