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Il fortunato ritorno a casa del Paesaggio con ballo campestre, dipinto già appartenuto alla raccolta del cardinale Scipione Borghese, poi disperso nelle vendite ottocentesche e acquistato dallo Stato italiano nel 2020, è l'occasione per una riflessione originale sulla pittura di paesaggio e sulla primissima attività romana di Guido Reni. Il dipinto ha portato alla luce un aspetto poco conosciuto della produzione dell'artista sebbene diverse opere e alcuni suoi disegni mostrino un certo interesse per la pittura “dal naturale”. Le scene campestri di Niccolò dell'Abate e di Agostino e Annibale Carracci, nonché i paesaggi realizzati da Domenichino, da Giovanni Battista Viola e da un fiammingo italianizzato della prima ora come Paul Bril, stabilitosi a Roma fin dagli ultimi decenni del Cinquecento, saranno i termini di paragone di questo percorso nella nuova visione della natura, fra scienza e poesia, coltivata fra Bologna e Roma all'inizio del Seicento. A Roma, città di confronto e di sfide per gli artisti, il giovane Guido avrà modo di scontrarsi con lo stile che in quel momento, tutti i giovani volevano seguire: la maniera potente, rapida e drammatica di Caravaggio. Il racconto del rapporto fra Guido Reni e i suoi contemporanei, fra paesaggio e figura, termina con le vicende che preparano la realizzazione del Carro dell'Aurora, affresco eseguito fra il 1613 e il 1614 per il casino del cardinale Scipione Borghese, ma lascia intravedere, con la presenza di alcuni capolavori degli anni successivi, l'importanza e la lunga durata delle impressioni maturate nel soggiorno romano.