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Dal 1990 a oggi un’ondata di guerre civili si è abbattuta su singoli paesi e intere aree regionali: la Jugoslavia all’indomani della fine della guerra fredda, la Somalia, l’Africa occidentale e la regione dei Grandi Laghi nei dieci anni immediatamente successivi, il Medio Oriente, l’Africa settentrionale e l’Ucraina nel periodo più vicino a noi. Questa proliferazione di guerre civili ha attirato l’attenzione di decisori politici, operatori umanitari, giornalisti e, naturalmente, studiosi. Ma, allo stesso tempo, li ha convinti sempre di più a vedere nella guerra civile un fenomeno marginale, confinato una volta per tutte fuori degli spazi ‘centrali’ del sistema internazionale e associato a qualche forma di arretratezza economica, politica o persino culturale. Allargando la prospettiva oltre l’ultimo trentennio, il libro rovescia questa immagine. È sufficiente attingere all’esperienza storica, infatti, per constatare che la guerra civile costituisce un’esperienza centrale nella storia europea (e italiana). Attorno a essa ruotano alcune delle determinanti fondamentali dell’ordine politico: l’edificazione e la successiva implosione della distinzione tra ‘noi’ e gli ‘altri’; la conseguente separazione tra ciò che è dentro e ciò che è fuori dall’unità politica e, quindi, tra politica ‘interna’ e politica ‘estera’; la distinzione ancora più capitale tra violenza ‘buona’ e violenza ‘cattiva’, ‘legittima’ e ‘illegittima’, ‘legale’ e ‘criminale’.