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Laura Fenelli ricostruisce la figura di sant'Antonio Abate e il culto a lui tributato nel bacino mediterraneo. Una vicenda complessa e appassionante come un romanzo, cominciata nel lontano IV secolo dopo Cristo, e che ha visto - nel susseguirsi di leggende, culti, superstizioni e rappresentazioni -la trasformazione dell'asceta da santo taumaturgo a santo contadino e burlone. Per comprendere questi passaggi basta prendere in esame tre immagini di epoche diverse che ritraggono Antonio. In un dipinto su tavola del 1353, Antonio č vestito di un abito scuro e di un mantello bruno, č in piedi in un paesaggio roccioso dove germogliano sparuti due alberelli, si appoggia a un nodoso bastone da eremita, reggendo con l'altra mano un volume rilegato. Ai suoi piedi trotterellano due maialetti neri. Accanto al santo si affollano donne e uomini, rigidamente divisi in base al sesso. Inginocchiati, stanno chiedendo la grazia, la salute, la salvezza per se stessi o per i loro cari. Due secoli dopo, in un foglio a stampa cinquecentesco variamente riprodotto e di grande diffusione, lo schema iconografico č assai simile, nonostante le differenze di tecnica esecutiva, stile, materiale, contesto. Dettaglio nuovo č quello del fuoco che fiammeggia ai piedi del santo e sembra sgorgare dal trono stesso. Infine, in uno dei tanti e popolarissimi santini dedicati all'eremita alla fine del XIX secolo sono cambiate le figure che lo attorniano: non piů devoti inginocchiati che chiedono la grazia, non piů malati e infermi, ma animali.