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Al centro del volume è la rivoluzione sanitaria dell’ultimo quarto dell’Ottocento, propiziata dal microscopio e dalle straordinarie scoperte di Pasteur e di Koch. Grazie a loro si individuano le cause di flagelli epocali quali il tifo, il colera e la tubercolosi polmonare. A finire sotto accusa è l’ambiente dove l’uomo vive e opera, soprattutto la città sovraffollata in seguito al colossale aumento demografico (la popolazione europea passò da 195 a 425 milioni nel solo XIX secolo). Definito con esattezza da Pasteur, lo “spazio salubre” consente di invertire la rotta, a patto di essere verificato a tutte le scale: dai servizi igienici alle attrezzature collettive, dai luoghi di lavoro all’abitazione individuale. Secondo forme a priori e dimensioni ottimali, il concetto dovrà poi essere applicato a questo universo, compresa la città stessa, per la prima volta misurata e considerata in termini quantitativi. Visti in tale prospettiva, i grandi mali tipici dei centri urbani non sembrano più appartenere all’ordine naturale delle cose ma diventano problemi risolvibili con rimedi di medio e lungo periodo. E per affrontare un così immane compito occorre creare nuove competenze, come l’ingegneria sanitaria, e nuove figure, come quella dell’igienista, da collocarsi a metà tra scienza e amministrazione, all’intersezione tra campi scientifici diversi ma sinergici (biologia e medicina, statistica e ingegneria civile).