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Sotto la penna di Michèle Saquin, conservatrice alla Bibliothèque nationale de France, scopriamo che i "gatti di biblioteca" passeggiano a centinaia sulle pagine dei libri, si rincorrono sui margini dei manoscritti medievali, si accucciano tra l'Adamo ed Eva di Dürer o fanno capolino dalla miniatura dell'arca di Noè. Selvatici o domestici che siano finiscono tutti nelle classificazioni di naturalisti come Buffon, che li detesta, o glorificati nei trattati di Moncrif e Champfleury, che li adorano. Candidi o lascivi posano per Callot, Hiroshige, Utamaro, Steinlen o Manet, Bonnard, Dufy, Picasso. Incarnano ogni sorta di ambiguità semantica grazie a Boucher, Toulouse-Lautrec, Foujita o Jules Chéret, e i loro "occhi belli misti d'agata e metallo", celebrati da Baudelaire, si fissano per l'eternità nell'obiettivo dei fotografi. Sorridenti secondo Grandville, o con gli stivali per Gustave Doré, spesso caustici e quasi mai innocenti, i gatti popolano le favole: da Esopo ai cantastorie persiani, da La Fontaine a Collodi, fino a guadagnarsi un posto nel panteon delle muse, condividendo l'intimità di poeti e scrittori come Montaigne, Hoffmann, Carroll, Hugo, Lear, Colette, Eliot, Kipling, Neruda... Prefazione di Pierre Rosenberg.